Le problematiche applicative inerenti il neo introdotto istituto della mediazione civile non sembrano attenuarsi, anzi.
Ricordiamo, per inciso, che la legittimità della mediazione è stata sollevata dal TAR Lazio, dal Giudice di Pace di Parma con l’ordinanza di rinvio alla Corte Costituzionale, ed, infine, anche dal Tribunale di Palermo, Sezione staccata di Bagheria, il quale ha rimesso ai Giudici di Lussemburgo il giudizio sulla compatibilità della mediazione all’italiana con la direttiva 2008/52/CE (Ordinanza 16 agosto 2011).
Nel presente articolo, l’Avv. Cristiano Pollarolo – lungi dall’entrare nel merito delle discussioni relative alla legittimità costituzionale dell’istituto – analizza, invece, le ulteriori e concrete problematiche applicative dell’istituto in commento emerse a seguito della recente Sentenza del 22.07.2011 emessa dal Tribunale Roma, sez. V civile.
Avv. Gerlando Gibilaro
Ancora un pasticcio sulla mediazione
di: Avv. Cristiano Pollarolo
A pochi mesi dal fatidico 21/03/2011, data in cui è entrata in vigore la mediazione obbligatoria, arriva una delle prime sentenze che, nel risolvere una questione di trascrizione, sancisce indirettamente la inefficacia ed inefficienza del sistema a causa della già ampiamente denunziata fretta con la quale la norma è stata emanata, in assenza di qualsivoglia coordinamento con le disposizioni esistenti ed in particolare con quelle del codice civile.
Mancanza di coordinamento attribuibile esclusivamente alla superficialità, per non dirne della generale impreparazione giuridica, con la quale il legislatore ha affrontato la questione mosso esclusivamente dalla esigenza di provvedere alla predisposizione di forme alternative di risoluzione del contenzioso a ridosso della scadenza di obblighi assunti in sede comunitaria “appena” dieci anni prima.
Ovviamente le conseguenze di ciò finiscono, come di consueto, per ricadere sia sull’utenza che sulla classe forense, la quale sempre con maggiore difficoltà riesce a far comprendere al cliente le bizzarrie delle norme con le quali deve confrontarsi quotidianamente.
Il Caso
Il Conservatore dei registri immobiliari di Roma rifiuta la trascrizione di un verbale di conciliazione, vergato dalle parti dinanzi ad organo di mediazione, in virtù del quale i comparenti davano atto dell’intervenuto acquisto per usucapione di un bene immobile da parte di uno di essi ed in danno dell’altro.
Il verbale in questione, successivamente omologato dal Presidente del Tribunale di Roma, veniva presentato per la trascrizione.
Il Conservatore manifestava le proprie perplessità circa la trascrivibilità del verbale di conciliazione osservando come, da un lato, esso non rientrava tra gli atti idonei ad attestare l’avvenuto acquisto per usucapione di un bene immobile e, dall’altro, era altresì carente della autentica delle sottoscrizioni. Procedeva, quindi, alla trascrizione con riserva prevista dall’art.2674 bis c.c. in conseguenza della quale veniva proposto il rituale ricorso dinanzi al competente Tribunale di Roma ex art.113 ter disp. att. C.c..
Il giudice adito, aderendo in sostanza ai rilievi mossi dal Conservatore a supporto della intervenuta trascrizione con riserva, rigettava il ricorso.
In particolare il Tribunale evidenziava come, in base alla lettera dell’art. 2651 del codice civile, fossero trascrivibili gli acquisti per usucapione dei diritti di cui ai nn.1, 2 e 4 dell’art.2643 c.c. solamente ove dichiarati con sentenza.
Veniva escluso, quindi, che al verbale di conciliazione di che trattasi potesse essere attribuita tale natura, essendo lo stesso il frutto non di un contenzioso bensì di una volontà negoziale delle parti, raggiunta senza la interposizione di un giudice e senza la successiva consacrazione in una sentenza. Privo come tale delle fondamentali garanzie del contraddittorio.
Da ciò deriva la sua inutilizzabilità ai fini della trascrizione ostandovi la mancata esplicita menzione del verbale di conciliazione tra gli atti elencati dall’art. 2657 c.c. Infatti secondo la norma citata “la trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza, di atto pubblico o di scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente”.
Del resto neppure la intervenuta omologa da parte del presidente del Tribunale risulterebbe idonea ad attribuire valore di sentenza all’accordo negoziale, che tale resta.
Difatti il giudice non partecipa alla formazione del verbale né dirime alcun aspetto contenzioso inerente al diritto oggetto di conciliazione. Egli si limita a certificare con la omologa la regolarità formale del documento e la sua non contrarietà all’ordine pubblico o a norme imperative di legge.
Nulla di più.
Soluzioni possibili
Allo stato la impostazione data alla vicenda dal Tribunale di Roma sembrerebbe essere condivisibile stante la chiara lettera delle disposizioni richiamate, che non lasciano spazi a tentativi di forzature interpretative.
E’ pur vero che il provvedimento risulta suscettibile di reclamo alla Corte di Appello anche se non è dato sapere, allo stato, se sia stato proposto.
Resta, comunque, il problema contingente di trovare una soluzione ad una situazione a dir poco paradossale.
Difatti, laddove oggetto di un contenzioso sia la intervenuta usucapione di un bene immobile, alla luce di quanto statuito dalla sentenza in commento, le parti, pur volendo conciliare nel pieno spirito dell’istituto della mediazione, saranno comunque costrette ad adire il Tribunale per l’ottenimento di un titolo idoneo alla trascrizione.
La soluzione pratica da porre in essere, in attesa che il Legislatore decida una modifica della normativa, magari escludendo l’istituto dell’usucapione dall’obbligo della procedura di mediazione, potrebbe condurre ad una richiesta di mediazione alla quale l’altra parte non dovrebbe aderire, inoltrando apposita dichiarazione in tal senso, al fine di accelerare al massimo la procedura. Una volta ottenuto il relativo verbale negativo, le parti potrebbero finalmente avviare il procedimento contenzioso che condurrà alla pronuncia della sentenza dichiarativa dell’intervenuta usucapione.
Ciò consentirebbe, per un verso, di adempiere all’obbligo normativo, provocando l’avverarsi in tempi rapidi della condizione di procedibilità e, dall’altro, di ottenere un notevole risparmio economico non dovendo versare all’organo di mediazione il contributo previsto, che finirebbe per essere un duplicato del contributo unificato da versare per l’avvio della procedura giudiziale.
Un paradosso, appunto!